top of page

Quattro reportage, consigliati

Quattro reportage molto belli, consigliati dalla redazione.

Di brionv da Flickr


Leila Guerriero


Leila Guerriero è una giornalista argentina classe ‘67. Nel 2005 mette su Los suicidas del fin del mundo: crónica de un pueblo patagónico, un reportage magnifico che per fortuna non si limita a riproporre la cronistoria di eventi particolari in un un luogo e tempi precisi. Lo stile narrativo e colloquiale di Guerriero blocca il lettore in una storia piuttosto macabra, una storia che racconta di una serie di suicidi nella provincia di Santa Crùz, Las Heras, alla fine degli anni ‘90. Solo che si sa troppo poco: l’elenco ufficiale di questi morti, la maggior parte dei quali aveva venticinque anni, non è mai stato compilato. E da qui, da questo poco sospetto, parte la ricerca di Guerriero che, per colmare i vuoti, o almeno per riallacciare qualche filo, parla con i parenti e gli abitanti del luogo, rendendosi presto conto che la speranza di ricostruire una verità anche solo approssimativa è destinata a rimanere delusa. Quello di Santa Crùz, come si legge nell'introduzione, è «un enigma todavía no resuelto: los suicidios, como un destino funesto, se suceden todavía hoy» - Giorgia Zoino.



Bruce Chatwin


Quanti taccuini vorremmo riempire durante un viaggio? Quanti momenti sentiamo il bisogno di fissare sulla carta? L’unico inconveniente è che non sempre si ha il tempismo e lo spirito di osservazione necessari per colmare la differenza tra ricordi fugaci e racconti. Bruce Chatwin nel 1987 riesce a sfuggire a questa maledizione condensando una pila di moleskine – in parte riportati fedelmente tra un capitolo e l’altro – in Le Vie dei Canti; un reportage dell’Australia aborigena, dei suoi canti e delle vie che questi tracciano nel deserto. Un gomitolo di leggende all’interno delle quali le vite dei moderni aborigeni si impigliano, creando quella strana sensazione – davvero ricorrente nel libro – prodotta dall’incontro tra società tradizionali e modernità. Proprio questa sensazione è l’espediente che permette a Chatwin di ricoprire di fascino un reportage da “zaino in spalla” scandito dal ritmo di una scrittura concisa e lapidaria - Alessandro Bongiolo.



Michele Masneri

Qualche anno fa Masneri è andato negli Stati Uniti e, come Arbasino prima di lui, ha preso appunti, ha scritto lunghissimi articoli sulla Silicon Valley e, dopo aver tagliato, riscritto e integrato, ci ha fatto un libro. Ora, Masneri, tra gli scrittori italiani viventi, è uno dei più arbasiniani, tanto nella lingua che usa – moltissima paratassi, delizioso stile da chiacchiera-colta, congiunzioni che marcano il ritmo della scrittura – quanto nel modo che ha di guardare il mondo; ma a differenza di molti altri lo è consapevolmente, perché Arbasino lo ha letto bene e spesso riesce a evitarne i tic, attenuarne le manie. E poi per il carattere (o almeno per il carattere che affiora dalla pagina): Masneri è molto meno irritante, allusivo, caleidoscopico ed è molto più simpatico, più vicino al resto degli esseri umani. Forse anche per questo Steve Jobs non abita più qui (ecco, magari per il titolo si poteva fare uno sforzo in più) mi pare il suo libro migliore. Andare a più di quarant’anni nella Silicon Valley, cioè nel posto in cui tutti sono giovani e passano il tempo a progettare il futuro, significa esporsi al rischio di sembrare fuori dal proprio physique du rôle, o peggio dei moralisti; Masneri invece non giudica mai, e descrive con la stessa precisione, con la stessa ammirata curiosità la quantità di sesso che passa attraverso la tecnologia, il modo in cui la recensione regola i rapporti sociali (si dà il voto a tutto: Uber, cuochi, camerieri, barbieri) o il multiculturalismo imperante. L’unica cosa che manca sono i ritratti (psicologici) degli esseri umani che incontra Masneri: l’humus è descritto splendidamente, ma che piante produce? - Enrico Zappatore.


Valeria Luiselli


Lost Children Archive è un esempio di reportage narrativo da inserire nella lista di letture future. Di là da quello che si può credere sui reportage, non tutti sono meccanici o plasmati sulle fotografie. Il libro di Valeria Luiselli, infatti, spazia tra caratteri e generi diversi e lo fa senza creare linee di demarcazione, probabilmente per la polifonia di fondo. L’idea della giornalista, alla base, non è quello di capire da dove vengono questi bambini - che sono del Centroamerica. Il lavoro di Luiselli cerca di tracciare una linea del percorso che questi bambini fanno per raggiungere la famiglia in America, se vengono rimpatriati o se si sono perduti - Giorgia Zoino.



Post correlati

Mostra tutti
bottom of page