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A tale within a tale, within a tale, within a tale...

Quattordici canzoni da ascoltare alle mostre.


Come capita spesso, è una questione di attrito, di distanze percepite: più un accoppiamento è strano, curioso, più l’esito che produce è ammirevole. E certo, sì, fino a un certo punto: devono pur essere degli accoppiamenti giudiziosi. Per usare uno di quegli aforismi che adoperava la mia non rimpianta professoressa di storia: «Non succede quasi mai che uno scemo migliori per osmosi, stando vicino a uno più intelligente. Ma può succedere cha peggiori quello bravo». Due giorni fa subivo (sì, subire è il verbo giusto) questo flusso di coscienza di un amico professore che rimpiange la vecchia scuola e tollera male i nuovi approcci didattici: «Altro che partire dai murales: le basi!, a questi mancano le basi! Gesù, questa mattina l’allievo Amadio ha confuso Tiepolo e Tiziano. Quanta amarezza». Ben ti sta, gli ho detto io, così impari che nella lotta tra sé e il mondo, come ha scritto Kafka, bisogna sempre cercare di assecondare il mondo. Lui ha sbuffato, evidentemente infastidito: sempre con questi scrittori russi, ma non hai letto altro? Veramente, ho spiegato, Kafka non era mica russo, era boemo. «?» ha chiesto. Sipario.

Ecco, il dubbio viene: se la scuola fallisce così miseramente, perché non concedere una chance alle magnifiche risorse del pop? Si scherza, ma neanche troppo, perché questo è un paese di tromboni, di moralisti col dito alzato, di tanti vecchi intellettuali carogne che si prendono troppo sul serio, fingendo che ogni parola o esalazione dei propri miti, dei Grandi (qualunque cosa voglia dire), sia ascrivibile al Genio – con le maiuscole al posto giusto, perché questo è anche un paese che per stare in piedi ha bisogno di appoggiarsi alla retorica, un paese che, come scriveva Berto, delle maiuscole ha bisogno per conferire a qualsiasi idea-feticcio che percola dal dibattito pubblico «una specie di garanzia immunitaria, che la mette al riparo dal buon senso e dalla critica». E allora, dovendo scegliere, meglio gli Iron Maiden che rifanno Coleridge, meglio – molto meglio – Caparezza che ci prende in giro usando Van Gogh, Giotto, Galileo.


La playlist si può ascoltare anche su Spotify, qui.



1. Ivan Graziani, Monna Lisa (Pigro, 1978).


2. Don McLean, Vincent (American Pie, 1971).



3. Caparezza, Mica Van Gogh (Museica, 2014).



4. Queen, Innuendo (Innuendo, 1991).



5. Premiata Forneria Marconi, Impressioni di Settembre (Storia Di Un Minuto, 1972).



6. Trisomie 21, La Fête Triste (Passions Divisées, 1984).



7. Iron Maiden, Rime Of The Ancient Mariner (Powerslave, 1984).



8. Talking Heads, I Zimbra (Fear Of Music, 1979).



9. Tutti Fenomeni, Trauermarsch (Merce Funebre, 2020).



10. Francesco Guccini, Cirano (D’amore, Di Morte E Di Altre Sciocchezze, 1996).



11. Fabrizio De André, Il Giudice (Non al denaro non all’amore nè al cielo, 1971).



12. Marta sui tubi, Cromatica (Carne con gli occhi, 2011).



13. Marlene Kuntz, Schiele, lei, me (Senza peso, 2003).



14. Vinicio Capossela, Modì (Modì, 1991).




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